Io, giovanissimo, a lavorare al banco in una nota pizzeria bresciana, che fino a pochi anni fa (2021) era ancora aperta e gestita dal medesimo titolare. Incredibilmente avevano ancora lo stesso menu e lui la stessa automobile, che so possiede tutt'oggi. Tra le poche fotografie di me negli anni ottanta, ce ne sono due in quella pizzeria, scattate da una signora di colore che aveva nome Lucia. L'altra fotografia però, in cui appaio con la divisa da cameriere, è andata perduta quando ho abbandonato il quartiere Carmine. Erano i tempi della prima media mi pare, anche se nella foto sembro un bambino più giovane. Questa fotografia è importante anche per ricordare come nella nostra società degli anni ottanta, fosse ben più comune che i minorenni lavorassero, rispetto a oggi. Non avevo l'età per stare lì, che al tempo si aggirava attorno ai quattordici anni, ossia dopo il termine delle scuole medie obbligatorie, anche perché tornavo a casa poco dopo la mezzanotte. Un bambino di quella età dietro un banco e di ritorno a casa da solo a mezzanotte, oggi è cosa impensabile. Era proprio un altro mondo. Credo che in una situazione simile in Brescia in questi anni, farebbero chiudere il locale. Eppure io devo molto a certi passaggi della mia vita, senza i quali penso sarei molto diverso e inoltre non avrei mai preso atto di certe cose importanti.
Vedere al giorno d'oggi ragazzi con jeans strappati o macchiati di proposito per aderire a mode varie, mi fa quasi sorridere. Non che sia motivo di vanto ovviamente, ma io lo ho fatto dal 1988. Anche se pensando a me in quegli anni non escludo affatto potessero essere jeans effettivamente rotti e non di proposito. Mi è accaduto di incontrare delle persone in quel passato in oratorio a San Faustino. Non mi riferisco in questo caso alle persone che ho visto e frequentato lì per anni, ma a quelle incontrate in rare occasioni e poi più viste, che in seguito però, decenni dopo, realizzando Sanfablog, si sono rivelate, nella mia memoria verso loro, importanti o significative. Da giovane l'interagire casuale o limitato a brevi periodi non mi ha mai dato sensazione di situazione prevalente, ma crescendo e sviluppando una maggiore consapevolezza dell'integrazione delle mie esperienze e dei miei ricordi, mi ha fatto riconoscere in alcuni casi un'importanza inattesa di quel tal momento o di quella tal persona. Forse hanno avuto impatto inatteso su me, magari attraverso un gesto o una conversazione particolare, che ho sottovalutato all'epoca. Tante persone ho visto per brevi periodi, ma di alcune ho ricordi nostalgici. Mi accade di ripensare a due ragazze in particolare che credo siano state in oratorio in rari casi. Una si chiamava Francesca e stava studiando per diventare estetista, ambito oggi di estrema diffusione, ma che per i ragazzi di allora non era scelta così scontata. L'ho accompagnata, a piedi, più volte dall'oratorio fino in zona via Volturno e fisicamente la ricordo perfettamente. Mi aveva rivelato che i gemelli Pioselli e un ragazzo della bancarella delle scarpe di piazza Rovetta, presumibilmente Oliva, non erano affatto male. Un'altra ragazza è Roberta, che non vorrei sbagliare, la ricordo in parentela con Daniele e Roberto Attanasii. Avevo trascorso un'intera serata in contrada Santa Chiara, alla sua finestra al piano terra. Non poteva uscire la sera e io ero andato a trovarla. Tipo Giulietta e Romeo. Se non erro era la casa di sua nonna.
Io e Marco che fingiamo di farci le canne. Io in tutti i sensi in quanto usavo proprio una canna in plastica, asta di una bandiera credo. Una delle scene simbolo del mio periodo in via Paitone riguarda un episodio accaduto mentre io e Marco eravamo a tavola, a cena. Io ero a piedi nudi. Ci siamo accorti che un topo si stava muovendo velocemente attorno alle gambe delle sedie. Una notte di caccia, con casa messa all'aria. Notte che anche mia madre ancora ricorda. Mio padre, Franco Franchi, ha frequentato il Carmine per decenni.
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